Textes réunis par ALAIN GOLDSCHLÄGER, Orléans, Éditions Paradigme,
2014, pp. 186 (Medievalia. Collection dirigée par Denis Hüe, 84). –

Il volume è un omaggio alla figura di Jacques Charles Lemaire, « un des maîtres de la recherche en codicologie et un des chercheurs internationalement reconnus en matière d’édition et d’analyse des textes du Moyen Âge français », del quale è possibile stimare la poliedricità degli interessi e l’estesa produzione scientifica leggendo la Vita e l’elenco delle pubblicazioni nel libro qui presentato. I dieci studiosi, di diversa provenienza, che hanno offerto i loro contributi alla miscellanea riprendono le linee di indagine e gli approcci seguiti da Lemaire nell’ambito dei suoi studi sul Medioevo. I saggi proposti, oltre a coprire un arco cronologico piuttosto vasto, abbracciano tematiche e campi d’indagine differenti. Questa varietà, in linea con l’intento dichiarato nella premessa a firma di Alain Goldschläger di rinviare « à la pluridisciplinarité globalisante des travaux de Jacques Lemaire », rappresenta indubbiamente un valore aggiunto nell’ottica del dialogo
tra discipline.
Alla letteratura medievale sono dedicati i primi quattro saggi. François Suard, Quelques variations médiévales sur le personnage de Roland (pp. 45-58) mette in luce l’abilità di alcuni scrittori medievali nel promuovere nuovi eroi attraverso il confronto con la figura di Rolando. Partendo dal testo di Oxford lo studioso traccia una nitida immagine di Rolando, modello epico per eccellenza, e del suo rapporto con Oliviero: nonostante l’amicizia che li lega, l’eroismo smisurato del primo – per il quale « l’univers entier vacille » – supera inevitabilmente le doti del secondo. Questo necessario punto di partenza è occasione per evidenziare alcuni passaggi, contestualizzati nel più vasto ambito di riferimento, di opere scritte tra XII e XIV secolo (con un’interessante apertura verso il Quattrocento e il Cinquecento) nelle quali il ‘confronto’ tra Rolando e un’altra figura subisce un’evoluzione. In Girart de Vienne lo sguardo viene proiettato prima di Roncisvalle quando, durante un conflitto tra Carlo Magno e uno dei suoi vassalli, Rolando e Oliviero si trovano su fronti opposti. Contrapponendo i due Bertrand de Bar-sur-Aube trasforma gradualmente Oliviero da nemico ad amico di Rolando eleggendolo, contestualmente, a pari degno di lui. Nella prima parte di Fierabras l’eroe entrerà in una sorta di competizione con Oliviero e resterà relegato inizialmente in secondo piano, l’oblio si rivelerà tuttavia temporaneo poiché il resto del testo è teso a riabilitare la figura dell’eroe. Questa sorta di ‘frattura’ interna, seguendo la lettura di Suard, si spiega con la necessità di elevare Oliviero al livello di Rolando ponendo i due sullo stesso piano e restituendo solo successivamente al nipote di Carlo il giusto ruolo. Con Renaut de Montauban, accanto alla figura dell’eroe epico, vedremo comparire un nuovo personaggio: prima di avvicinarsi Rolando e Renaud percorreranno due strade parallele  trovandosi poi su due fronti opposti, entrambi dimostreranno il loro valore ma – in questo caso – non nascerà una ‘coppia’ di eroi stabile. La figura di Rolando è qui caratterizzata da alcuni tratti negativi (come del resto già in Girart) e utilizzata per consentire l’emergere di un nuovo eroe dotato di autonomia, nonostante ciò l’immagine e le doti di Rolando non vengono messe in discussione. In Gui de Bourgogne più di un’ombra viene gettata su Rolando e l’evolversi delle vicende, che pure si concludono con il poeta che annuncia la battaglia di Roncisvalle, non comporta invece necessariamente una lettura pienamente favorevole all’eroe. Sarà in ogni caso l’Ogier del Myreur des Histors ad avere nettamente la meglio: Rolando si troverà addirittura a dover chiedere grazia all’eroe emergente
e, a dispetto di una conclusione sostanzialmente positiva, risentirà a lungo
termine della sconfitta (claudicando per tutta la vita). Uno svolgimento tanto
sfavorevole a Rolando sembra comunque rappresentare una sorta di eccezione
nell’ambito dei romanzi medievali, Jean d’Otremuse privilegia chiaramente
Ogier (peraltro protagonista di un’altra chanson de geste, perduta, a firma dello
stesso autore) a scapito di Rolando che tuttavia rimane il metro con cui misurare
il valore di Ogier. Anche tra XIV e XVI secolo, quando l’immagine di Rolando
si rinnova secondo direttrici differenti, egli rimane un indiscusso punto di
riferimento; una figura alla quale gli scrittori non intendono rinunciare.
L’interesse per la dimensione del ricordo, e per i verbi che lo esprimono, è
al centro dello studio di Philippe Logié, Souvenir et aventure dans l’Énéas et chez
Chrétien de Troyes (pp. 59-66). Attraverso il confronto tra un brano tratto dal
Roman d’Eneas (édité par J.-J. Salverda de Grave, Paris, 1983, v. 9794-9810) e la
sua fonte, l’Eneide di Virgilio (XII, 938-949), lo studioso ci introduce all’inarrestabile
e sconvolgente invasione del passato nel presente in alcuni romanzi medievali;
un’irruzione inserita dall’autore con un certo grado di ben ponderata casualità
ma determinante nello svolgimento dell’azione. Di questa funzione della
memoria Logié ci offre diversi esempi analizzando alcuni passaggi delle opere di
Chrétien de Troyes in cui l’emergere del ricordo può condurre ad un esito positivo
(la scoperta dell’amore nel Cligès) o interrompere una condizione in cui il
protagonista è ‘bloccato’ (l’abbandono ai piaceri dell’amore in Érec et Énide, l’eccessiva
dedizione ai doveri del cavaliere in Yvain) ma, indipendentemente dal risultato,
apre sempre la strada a nuove possibilità. In questo intreccio tra memoria
e caso che, uniti, sono un agente scatenante dell’effetto, il ricordo non sembra
dipendere dalla volontà del personaggio e può rappresentare a seconda delle
situazioni (Perceval) « une malédiction ou une bénédiction ».
Ritroviamo alcune delle figure citate nei contributi precedenti, indagate sotto
un diverso punto di vista, nel saggio di Yves Ferroul, Les réactions à la naissance
de la culture hétérosexuelle dans les romans d’aventure des XIIe et XIIIe siècles (pp.
67-78) il quale propone un’interessante lettura trasversale dell’amore tra uomo e
donna nei romanzi medievali. La ricerca di Ferroul muove dalla disamina di alcuni
testi, che citerò a breve infra, nei quali egli rintraccia una certa mal celata
riluttanza ad accettare il modello di coppia ‘eterosessuale’. Se il rapporto tra Rolando
e Aude non ha un ruolo centrale nella storia poiché l’eroe della Chanson
è comunque votato ad alti ideali, le traversie amorose che rinveniamo ad esempio
in Yvain - Érec et Énide - Perceval ci mostrano, dal punto di vista considerato,
un percorso sostanzialmente diverso. Lo svolgimento delle vicende tende a
rivelare una concezione negativa dell’amore, soprattutto se messo a confronto
con l’ideale cavalleresco. Da un lato emergono delle donne troppo interessate
all’avanzamento sociale offerto loro dall’amato (Énide e Laudine) o comunque
alla ricerca di un campione (Blanchefleur), dall’altro degli uomini che promettono
fedeltà e non mantengono (Perceval, Guinglain) e, anche per questi ultimi,
gli aspetti sociali non sono irrilevanti (quantomeno per la famiglia d’origine,
pensiamo ad esempio al padre di Floire o alla zia di Galeran). Così Chrétien de
Troyes apre sia a scenari amorosi sia alla critica sulle dinamiche della coppia.
Nel quadro generale si crea inoltre uno sbilanciamento poiché amore e cavalleria
sembrano non poter assumere pari importanza nella vita di un uomo, che rischia
di vedersi irrimediabilmente degradato ad una sorta di lacchè della fanciulla.
Per salvare le circostanze alcuni scrittori erano disposti a trovare soluzioni artificiose,
divertenti, talvolta eccessivamente pragmatiche (il siniscalco propone a
Méraugis e Gorvain di spartirsi la donna amata un mese ciascuno, evitando un
inutile duello, Raoul de Houdenc, Méraugis de Portlesguez) che veicolano un
messaggio a senso unico: il cavaliere, per mantenere la sua integrità, deve votarsi
ad una causa più alta (Gui de Warewic, Perceval). L’amore eterosessuale, come
rileva Ferroul, permette dunque agli autori di XII e XIII secolo di esplorare
nuove possibilità narrative ma non ne sono rapiti e tendono a rivelarne prevalentemente
i limiti. Tale resistenza sembra emergere prepotentemente tra le righe
dei romanzi secondo due direttrici principali: rifiuto dell’amore quale elemento
significante in grado di dare ‘valore’ ad una vita, impossibilità ad accordare
alla donna un ruolo rilevante nell’esistenza di un uomo. Il modello di coppia
che vede due persone di sesso opposto scegliersi, amarsi e vivere insieme la
sessualità, che pare trovare a partire dal XII secolo uno dei punti di snodo cruciali
nell’affermazione di un’ideale fondamentale per le pratiche sociali del XX
secolo, incontrerà dunque inizialmente una certa resistenza. Tale ostilità obbliga,
tra l’altro, a valutare caso per caso il messaggio che l’autore intendeva effettivamente
veicolare in rapporto alla ricezione concreta da parte dei lettori: due elementi
che non sempre coincidono.
Un po’ più lontano, tra XV e XVI secolo, ci conduce l’intervento di Denis
Hüe, Meschinot, un témoignage édité (pp. 79-90) con un’indagine sul volume,
pubblicato a Londra nel 1580, di Humpfrey Gifford, A Poesie of Gilloflowers (ed.
in The complete poems and translations in prose of Humpfrey Gifford gentleman, 1580,
A. B. Grosart, 1875). Il libro, dalla struttura non troppo usuale, presenta prima
una serie di traduzioni: lettere di Claudio Tolomei, testo di Meschinot e aneddoti
italiani, seguite da opere di Gifford – poesie acrostiche o parafrasi di testi
morali ed enigmi in versi. Dopo avere indagato le possibili ragioni delle scelte
compiute da Gifford, lo studioso si sofferma con particolare attenzione sulle in
terpretazioni del testo di Meschinot date da A. de la Borderie e Ch. Martineau-
Genieys (rispettivamente in Jean Meschinot, sa vie et ses oeuvres, ses satires contre
Louis XI, Bibliothèque de l’École des Chartres, 1895; Les Lunettes des Princes de
Jean Meschinot, Genève, Droz, 1972); rilevando punti di forza, criticità e proponendo
nuovi e interessanti spunti di riflessione in merito. Segue l’analisi della
Supplicacion du Banny de Liesse, testo allegorico in prosa che porta in scena un
mondo doppio in cui alla realtà ufficiale si sovrappone un universo parallelo ove
dominano le personificazioni, per il quale lo studioso individua anche possibili
antecedenti e successivi debiti. Come rileva Hüe l’opera porta in scena figure
senza tempo, destinate a trovare un vasto pubblico, espressioni di una angoscia
individuale che suscita inevitabilmente empatia nel lettore.
All’interpretazione dei testi sono dedicati i due contributi successivi. Bruno
Roy, L’Estoire del saint Graal: un nouveau fragment (pp. 91-98) presenta un bifolium
conservato presso l’Universiteitsbibliotheek di Gand, raccolta HS 2749, che
a buon titolo si va ora ad inserire nella rete di testimoni che hanno tramandato
sino a noi l’Estoire. Alla descrizione materiale del frammento, attribuito ad una
mano di XIV secolo, il cui testo risponde ai paragrafi 119-133 dell’edizione di
Jean-Paul Ponceau (L’Estoire del saint Graal, Paris, 1997, I, pp. 76-85), 55-60 di
Gérard Gros (Joseph d’Arimathie, in D. Poirion - P. Walter, Le Livre du Graal, I:
Joseph d’Arimathie, Merlin, Les Premiers faits du roi Arthur, Paris, 2001, pp. 66-77),
segue il suo inquadramento nell’ambito delle tre redazioni alle quali sono riconducibili
i manoscritti fino ad oggi noti: versione lunga, corta e mista. Lo studioso
esamina nel dettaglio alcune omissioni nel testo di Gand in rapporto alla versione
lunga e conclude trascrivendo inizio e fine del frammento, integrandolo
con un manoscritto della versione corta usato da Gros per la rispondente sezione
del romanzo.
Annette Brasseur dedica il suo studio, L’image des cinq sens dans le Miserere
du Renclus de Moiliens, édition partielle avec sa mise en français moderne (pp. 99-108),
al manoscritto Bnf. fr. 1763, anc. 7837, Colbert 6013. L’opera, datata alla fine
del XIII secolo, contiene il Miserere e il Roman de Carité. La studiosa estrapola
una parte del Miserere, rispondendo anche al non facile compito di rispettarne la
forza espressiva e le specificità linguistiche proponendo il testo in francese moderno.
Una breve introduzione consente di accedere con immediatezza ai processi
interni del testo, successivamente vengono presentate la struttura materiale
del manoscritto e la metodologia di analisi adottata. Nel testo riportato, Renclus,
dopo avere avanzato alcune questioni ‘esistenziali’ sull’uomo offre al lettore
un’immagine dei cinque sensi, facendo leva sui rispettivi organi, lontana da
complesse astrazioni. I sensi si configurano essenzialmente come elementi ambivalenti
e tendenzialmente negativi nella vita dell’uomo che, tuttavia, ha a sua
disposizione altri quattro servitori ben più fedeli: Paura (di Dio), Dolore, Gioia,
Speranza. Per quanti volessero accedere rapidamente al testo completo, segnalo
che il manoscritto è consultabile online sul sito Gallica (il brano presentato risponde
all’incirca ai ff. 34a-44b).
Alla codicologia e alla miniatura sono dedicati i tre saggi successivi. Marc
Gil, in La théorie de l’atelier et de l’officine dans la miniature septentrionale (L. Delaissé):
modèles alternatifs à la lumière des sources et de la recherche actuelle (pp. 109-128),
presenta una lucida analisi dell’evoluzione degli studi sulla miniatura fiamminga.
Partendo dalla mostra Miniatures flamandes, tenutasi nel 2011-2012 a Bruxelles e
Parigi, riporta la nostra memoria all’esposizione del 1959 La miniature flamande.
Le mécénat de Philippe le Bon svoltasi a Bruxelles, Amsterdam e Parigi – che pos
siamo considerare come una sorta di spartiacque nel campo delle ricerche – e
sul catalogo redatto da Léon Delaissé. Lo studioso tracciava un nuovo quadro di
riferimento per i manoscritti miniati in epoca borgognona, basato in gran parte
sulla codicologia: analizzando un certo numero di opere, integrando dati materiali,
tipo di scrittura, natura dei testi, miniature e decorazione secondaria, Delaissé
giunse alla conclusione che nel Medioevo esistevano delle case editrici (nel
senso moderno del termine). In questo contesto sono stati attribuiti all’editore
sia l’organizzazione e la trascrizione del testo sia altri compiti quali ad esempio
decorazione e illustrazione; talvolta tuttavia il lavoro del miniaturista veniva
considerato completamente indipendente. Si faceva così strada una distinzione
tra officina dell’editore e atelier del miniatore, in cui i rapporti devono essere
analizzati di volta in volta, nonché una suddivisione cronologica in tre periodi
(pre-borgognone, borgognone e post-borgognone). Gil si concentra dunque sulle
reazioni degli studiosi alle ipotesi formulate da Delaissé prestando attenzione
alla fortuna critica e alle obiezioni avanzate, con particolare riferimento a Antoine
De Schryver e Anne van Buren, giungendo fino a ricerche recenti che – attraverso
il vaglio delle fonti – hanno messo concretamente alla prova le ipotesi
di Delassé. Particolarmente significativi si rivelano gli studi sulla contabilità, in
grado di dare il giusto rilievo ai complessi rapporti tra le diverse figure coinvolte
nella realizzazione del manoscritto miniato. Gil riesce a ricostruire criticamente,
in poche pagine, quasi sessant’anni di studi suggerendo altresì nuovi spunti di riflessione.
Le conclusioni soddisfano pienamente: Delaissé ha tentato un’ipotesi
audace, basata sull’archeologia del manoscritto, che ha avuto senza dubbio il
merito di favorire il moltiplicare degli studi aprendo altresì la strada alla ricerca a
tutto tondo del manoscritto; « archives, codicologie, iconographie et style, mais
aussi histoire du milieu urbain, des collections et du marché de l’art participent
désormais pleinement du champ d’étude du manuscrit médieval ».
Lucien Reynhout, Calliope exarans: à propos de quelques colophons poétiques
dans les manuscrits de la Bibliothèque royale de Belgique (pp. 129-150) porta la nostra
attenzione su tre colophon estratti da manoscritti conservati nella Biblioteca reale,
BRUXELLES: ms. II 977, f. 1rb; ms. II 979, f. 129r; ms. II 1072, f. 1v. Si tratta rispettivamente
del colophon del copista Lambertus, del colophon riferibile al perduto
manoscritto copiato da Lambert d’Hautmont, e di un “colophon editoriale”
di una raccolta agostiniana. Ogni opera è descritta accuratamente nella sua
struttura materiale, ne vengono date indicazioni sui contenuti e (per quanto
possibile) un inquadramento entro il suo originario contesto di riferimento. Seguono
l’analisi codicologica e paleografica, la disamina sulla contemporaneità o
meno di manoscritto e colophon, annotazioni sul copista. Reynhout non intende
solo fornire una meticolosa analisi dei colophon ma anche portare all’attenzione
della critica la quantità di informazioni che sono in grado di fornirci. Essi
si rivelano infatti strumenti utili sia all’identificazione del copista sia all’inquadramento
delle sue abilità, che consentono di farne una figura pienamente partecipe
al processo creativo.
Un altro tipo di testimonianza è al centro del lavoro di Christiane Van den
Bergen-Pantens, Héraldique et codicologie: le cas du Bruxellensis IV 1249 (pp. 151-
160) che porta alla nostra attenzione un armoriale tascabile di XIV secolo; recente
acquisizione della Biblioteca reale del Belgio. L’autore insiste in primo
luogo giustamente sull’importanza di queste opere, recentemente rivalutate dalla
critica ma ancora lasciate troppo in margine agli studi. Dopo averne delineato le
varie tipologie, mette in rilievo le abilità degli esecutori materiali dell’opera,
l’importanza del contesto storico di produzione, il variare della loro funzione
nel corso del tempo. Van den Bergen-Pantens ci fornisce una dettagliata descrizione
e un primo inquadramento dell’opera sopra citata, verosimilmente da collocare
tra il 1384 e il 1404, anticipazione di un’edizione completa dell’armoriale;
a quest’occasione è rimandata l’identificazione degli scudi nel loro complesso.
Chiude la miscellanea il saggio di Alain Goldschläger, De l’utilité du Juif au Moyen
Âge (pp. 161-174). Dopo un’introduzione nella quale lo studioso accenna alle
difficoltà con le quali l’Ebreo doveva misurarsi nel Medioevo, pone l’accento sulla
complessità e varietà delle interazioni sociali tra ebrei e cristiani. Del loro errare senza
riposo, visto all’epoca come una necessaria punizione nei confronti di coloro che
non avevano saputo accogliere il messaggio di Cristo, Goldschläger mette in luce
molteplici risvolti. Il costante peregrinare, accanto agli aspetti indubbiamente negativi,
dava anche loro occasione di intessere relazioni con persone di altri paesi portandoli
ad essere una sorta di trait d’union nell’ambito dei commerci. Necessariamente
poliglotti e dunque traduttori privilegiati, entravano rapidamente in contatto con
nuovi saperi e – di conseguenza – non di rado avevano a che fare con la loro divulgazione.
Anche in questo caso, la capacità di essere per certi aspetti all’avanguardia,
si rivela tuttavia una « position ambivalente car elle attire les foudres des forces réactionnaires
mais séduit les esprits curieux ou progressistes ». L’indagine sui rapporti
economici tra ebrei e cristiani si mostra altrettanto complessa. Come banchieri erano
necessari al traffico di denaro, la loro presenza assicurava inoltre fondi che potevano
essere presi in prestito (il loro successivo esilio consentiva eventualmente di
cancellare i debiti accumulati), ma in ogni caso guardati con sospetto e accusati di
usura (da intendersi come un prestito con interesse superiore al 2%). Una popolazione
da tassare, talvolta utilizzata come merce di scambio, dalla metà del secolo XII
accusata anche di omicidio rituale di bambini e per questo – se le circostanze lo richiedevano
– utilizzata come capro espiatorio. L’iconografia ha in diverse occasioni
supportato tali accuse partecipando al processo di creazione dell’Altro, talora con licenza
di fantasiosi e/o macabri dettagli. Goldschläger ci offre in questo saggio alcuni
interessanti esempi dei fattori che hanno contribuito a creare idee pregiudizievoli
nei confronti degli Ebrei, sviscerandone tuttavia soprattutto la complessa articolazione
delle interazioni sociali e intellettuali in rapporto al contesto.
In chiusura mi sia concesso sottolineare che, nel presentare un volume tanto
denso di spunti significativi, ho dovuto necessariamente optare per una selezione
dei contenuti tentando di modulare le scelte nel rispetto della varietà e complessità
degli argomenti trattati; quanti vorranno leggere il libro si renderanno
tuttavia conto che ogni singolo contributo va ben oltre quello che è stato qui
possibile evidenziare. Ogni intervento si distingue per la ricerca di un taglio trasversale
e per una grande attenzione all’interdisciplinarietà, caratteristiche alle
quali difficilmente si può dare il giusto rilievo in poche righe.
ELISA DI NATALE