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Revue de Presse
STUDI MEDIEVALI Image et images du Moyen Âge. Mélanges en l’honneur de Jacques Charles Lemaire.


Textes réunis par ALAIN GOLDSCHLÄGER, Orléans, Éditions Paradigme,
2014, pp. 186 (Medievalia. Collection dirigée par Denis Hüe, 84). –

Il volume è un omaggio alla figura di Jacques Charles Lemaire, « un des maîtres de la recherche en codicologie et un des chercheurs internationalement reconnus en matière d’édition et d’analyse des textes du Moyen Âge français », del quale è possibile stimare la poliedricità degli interessi e l’estesa produzione scientifica leggendo la Vita e l’elenco delle pubblicazioni nel libro qui presentato. I dieci studiosi, di diversa provenienza, che hanno offerto i loro contributi alla miscellanea riprendono le linee di indagine e gli approcci seguiti da Lemaire nell’ambito dei suoi studi sul Medioevo. I saggi proposti, oltre a coprire un arco cronologico piuttosto vasto, abbracciano tematiche e campi d’indagine differenti. Questa varietà, in linea con l’intento dichiarato nella premessa a firma di Alain Goldschläger di rinviare « à la pluridisciplinarité globalisante des travaux de Jacques Lemaire », rappresenta indubbiamente un valore aggiunto nell’ottica del dialogo
tra discipline.
Alla letteratura medievale sono dedicati i primi quattro saggi. François Suard, Quelques variations médiévales sur le personnage de Roland (pp. 45-58) mette in luce l’abilità di alcuni scrittori medievali nel promuovere nuovi eroi attraverso il confronto con la figura di Rolando. Partendo dal testo di Oxford lo studioso traccia una nitida immagine di Rolando, modello epico per eccellenza, e del suo rapporto con Oliviero: nonostante l’amicizia che li lega, l’eroismo smisurato del primo – per il quale « l’univers entier vacille » – supera inevitabilmente le doti del secondo. Questo necessario punto di partenza è occasione per evidenziare alcuni passaggi, contestualizzati nel più vasto ambito di riferimento, di opere scritte tra XII e XIV secolo (con un’interessante apertura verso il Quattrocento e il Cinquecento) nelle quali il ‘confronto’ tra Rolando e un’altra figura subisce un’evoluzione. In Girart de Vienne lo sguardo viene proiettato prima di Roncisvalle quando, durante un conflitto tra Carlo Magno e uno dei suoi vassalli, Rolando e Oliviero si trovano su fronti opposti. Contrapponendo i due Bertrand de Bar-sur-Aube trasforma gradualmente Oliviero da nemico ad amico di Rolando eleggendolo, contestualmente, a pari degno di lui. Nella prima parte di Fierabras l’eroe entrerà in una sorta di competizione con Oliviero e resterà relegato inizialmente in secondo piano, l’oblio si rivelerà tuttavia temporaneo poiché il resto del testo è teso a riabilitare la figura dell’eroe. Questa sorta di ‘frattura’ interna, seguendo la lettura di Suard, si spiega con la necessità di elevare Oliviero al livello di Rolando ponendo i due sullo stesso piano e restituendo solo successivamente al nipote di Carlo il giusto ruolo. Con Renaut de Montauban, accanto alla figura dell’eroe epico, vedremo comparire un nuovo personaggio: prima di avvicinarsi Rolando e Renaud percorreranno due strade parallele  trovandosi poi su due fronti opposti, entrambi dimostreranno il loro valore ma – in questo caso – non nascerà una ‘coppia’ di eroi stabile. La figura di Rolando è qui caratterizzata da alcuni tratti negativi (come del resto già in Girart) e utilizzata per consentire l’emergere di un nuovo eroe dotato di autonomia, nonostante ciò l’immagine e le doti di Rolando non vengono messe in discussione. In Gui de Bourgogne più di un’ombra viene gettata su Rolando e l’evolversi delle vicende, che pure si concludono con il poeta che annuncia la battaglia di Roncisvalle, non comporta invece necessariamente una lettura pienamente favorevole all’eroe. Sarà in ogni caso l’Ogier del Myreur des Histors ad avere nettamente la meglio: Rolando si troverà addirittura a dover chiedere grazia all’eroe emergente
e, a dispetto di una conclusione sostanzialmente positiva, risentirà a lungo
termine della sconfitta (claudicando per tutta la vita). Uno svolgimento tanto
sfavorevole a Rolando sembra comunque rappresentare una sorta di eccezione
nell’ambito dei romanzi medievali, Jean d’Otremuse privilegia chiaramente
Ogier (peraltro protagonista di un’altra chanson de geste, perduta, a firma dello
stesso autore) a scapito di Rolando che tuttavia rimane il metro con cui misurare
il valore di Ogier. Anche tra XIV e XVI secolo, quando l’immagine di Rolando
si rinnova secondo direttrici differenti, egli rimane un indiscusso punto di
riferimento; una figura alla quale gli scrittori non intendono rinunciare.
L’interesse per la dimensione del ricordo, e per i verbi che lo esprimono, è
al centro dello studio di Philippe Logié, Souvenir et aventure dans l’Énéas et chez
Chrétien de Troyes (pp. 59-66). Attraverso il confronto tra un brano tratto dal
Roman d’Eneas (édité par J.-J. Salverda de Grave, Paris, 1983, v. 9794-9810) e la
sua fonte, l’Eneide di Virgilio (XII, 938-949), lo studioso ci introduce all’inarrestabile
e sconvolgente invasione del passato nel presente in alcuni romanzi medievali;
un’irruzione inserita dall’autore con un certo grado di ben ponderata casualità
ma determinante nello svolgimento dell’azione. Di questa funzione della
memoria Logié ci offre diversi esempi analizzando alcuni passaggi delle opere di
Chrétien de Troyes in cui l’emergere del ricordo può condurre ad un esito positivo
(la scoperta dell’amore nel Cligès) o interrompere una condizione in cui il
protagonista è ‘bloccato’ (l’abbandono ai piaceri dell’amore in Érec et Énide, l’eccessiva
dedizione ai doveri del cavaliere in Yvain) ma, indipendentemente dal risultato,
apre sempre la strada a nuove possibilità. In questo intreccio tra memoria
e caso che, uniti, sono un agente scatenante dell’effetto, il ricordo non sembra
dipendere dalla volontà del personaggio e può rappresentare a seconda delle
situazioni (Perceval) « une malédiction ou une bénédiction ».
Ritroviamo alcune delle figure citate nei contributi precedenti, indagate sotto
un diverso punto di vista, nel saggio di Yves Ferroul, Les réactions à la naissance
de la culture hétérosexuelle dans les romans d’aventure des XIIe et XIIIe siècles (pp.
67-78) il quale propone un’interessante lettura trasversale dell’amore tra uomo e
donna nei romanzi medievali. La ricerca di Ferroul muove dalla disamina di alcuni
testi, che citerò a breve infra, nei quali egli rintraccia una certa mal celata
riluttanza ad accettare il modello di coppia ‘eterosessuale’. Se il rapporto tra Rolando
e Aude non ha un ruolo centrale nella storia poiché l’eroe della Chanson
è comunque votato ad alti ideali, le traversie amorose che rinveniamo ad esempio
in Yvain - Érec et Énide - Perceval ci mostrano, dal punto di vista considerato,
un percorso sostanzialmente diverso. Lo svolgimento delle vicende tende a
rivelare una concezione negativa dell’amore, soprattutto se messo a confronto
con l’ideale cavalleresco. Da un lato emergono delle donne troppo interessate
all’avanzamento sociale offerto loro dall’amato (Énide e Laudine) o comunque
alla ricerca di un campione (Blanchefleur), dall’altro degli uomini che promettono
fedeltà e non mantengono (Perceval, Guinglain) e, anche per questi ultimi,
gli aspetti sociali non sono irrilevanti (quantomeno per la famiglia d’origine,
pensiamo ad esempio al padre di Floire o alla zia di Galeran). Così Chrétien de
Troyes apre sia a scenari amorosi sia alla critica sulle dinamiche della coppia.
Nel quadro generale si crea inoltre uno sbilanciamento poiché amore e cavalleria
sembrano non poter assumere pari importanza nella vita di un uomo, che rischia
di vedersi irrimediabilmente degradato ad una sorta di lacchè della fanciulla.
Per salvare le circostanze alcuni scrittori erano disposti a trovare soluzioni artificiose,
divertenti, talvolta eccessivamente pragmatiche (il siniscalco propone a
Méraugis e Gorvain di spartirsi la donna amata un mese ciascuno, evitando un
inutile duello, Raoul de Houdenc, Méraugis de Portlesguez) che veicolano un
messaggio a senso unico: il cavaliere, per mantenere la sua integrità, deve votarsi
ad una causa più alta (Gui de Warewic, Perceval). L’amore eterosessuale, come
rileva Ferroul, permette dunque agli autori di XII e XIII secolo di esplorare
nuove possibilità narrative ma non ne sono rapiti e tendono a rivelarne prevalentemente
i limiti. Tale resistenza sembra emergere prepotentemente tra le righe
dei romanzi secondo due direttrici principali: rifiuto dell’amore quale elemento
significante in grado di dare ‘valore’ ad una vita, impossibilità ad accordare
alla donna un ruolo rilevante nell’esistenza di un uomo. Il modello di coppia
che vede due persone di sesso opposto scegliersi, amarsi e vivere insieme la
sessualità, che pare trovare a partire dal XII secolo uno dei punti di snodo cruciali
nell’affermazione di un’ideale fondamentale per le pratiche sociali del XX
secolo, incontrerà dunque inizialmente una certa resistenza. Tale ostilità obbliga,
tra l’altro, a valutare caso per caso il messaggio che l’autore intendeva effettivamente
veicolare in rapporto alla ricezione concreta da parte dei lettori: due elementi
che non sempre coincidono.
Un po’ più lontano, tra XV e XVI secolo, ci conduce l’intervento di Denis
Hüe, Meschinot, un témoignage édité (pp. 79-90) con un’indagine sul volume,
pubblicato a Londra nel 1580, di Humpfrey Gifford, A Poesie of Gilloflowers (ed.
in The complete poems and translations in prose of Humpfrey Gifford gentleman, 1580,
A. B. Grosart, 1875). Il libro, dalla struttura non troppo usuale, presenta prima
una serie di traduzioni: lettere di Claudio Tolomei, testo di Meschinot e aneddoti
italiani, seguite da opere di Gifford – poesie acrostiche o parafrasi di testi
morali ed enigmi in versi. Dopo avere indagato le possibili ragioni delle scelte
compiute da Gifford, lo studioso si sofferma con particolare attenzione sulle in
terpretazioni del testo di Meschinot date da A. de la Borderie e Ch. Martineau-
Genieys (rispettivamente in Jean Meschinot, sa vie et ses oeuvres, ses satires contre
Louis XI, Bibliothèque de l’École des Chartres, 1895; Les Lunettes des Princes de
Jean Meschinot, Genève, Droz, 1972); rilevando punti di forza, criticità e proponendo
nuovi e interessanti spunti di riflessione in merito. Segue l’analisi della
Supplicacion du Banny de Liesse, testo allegorico in prosa che porta in scena un
mondo doppio in cui alla realtà ufficiale si sovrappone un universo parallelo ove
dominano le personificazioni, per il quale lo studioso individua anche possibili
antecedenti e successivi debiti. Come rileva Hüe l’opera porta in scena figure
senza tempo, destinate a trovare un vasto pubblico, espressioni di una angoscia
individuale che suscita inevitabilmente empatia nel lettore.
All’interpretazione dei testi sono dedicati i due contributi successivi. Bruno
Roy, L’Estoire del saint Graal: un nouveau fragment (pp. 91-98) presenta un bifolium
conservato presso l’Universiteitsbibliotheek di Gand, raccolta HS 2749, che
a buon titolo si va ora ad inserire nella rete di testimoni che hanno tramandato
sino a noi l’Estoire. Alla descrizione materiale del frammento, attribuito ad una
mano di XIV secolo, il cui testo risponde ai paragrafi 119-133 dell’edizione di
Jean-Paul Ponceau (L’Estoire del saint Graal, Paris, 1997, I, pp. 76-85), 55-60 di
Gérard Gros (Joseph d’Arimathie, in D. Poirion - P. Walter, Le Livre du Graal, I:
Joseph d’Arimathie, Merlin, Les Premiers faits du roi Arthur, Paris, 2001, pp. 66-77),
segue il suo inquadramento nell’ambito delle tre redazioni alle quali sono riconducibili
i manoscritti fino ad oggi noti: versione lunga, corta e mista. Lo studioso
esamina nel dettaglio alcune omissioni nel testo di Gand in rapporto alla versione
lunga e conclude trascrivendo inizio e fine del frammento, integrandolo
con un manoscritto della versione corta usato da Gros per la rispondente sezione
del romanzo.
Annette Brasseur dedica il suo studio, L’image des cinq sens dans le Miserere
du Renclus de Moiliens, édition partielle avec sa mise en français moderne (pp. 99-108),
al manoscritto Bnf. fr. 1763, anc. 7837, Colbert 6013. L’opera, datata alla fine
del XIII secolo, contiene il Miserere e il Roman de Carité. La studiosa estrapola
una parte del Miserere, rispondendo anche al non facile compito di rispettarne la
forza espressiva e le specificità linguistiche proponendo il testo in francese moderno.
Una breve introduzione consente di accedere con immediatezza ai processi
interni del testo, successivamente vengono presentate la struttura materiale
del manoscritto e la metodologia di analisi adottata. Nel testo riportato, Renclus,
dopo avere avanzato alcune questioni ‘esistenziali’ sull’uomo offre al lettore
un’immagine dei cinque sensi, facendo leva sui rispettivi organi, lontana da
complesse astrazioni. I sensi si configurano essenzialmente come elementi ambivalenti
e tendenzialmente negativi nella vita dell’uomo che, tuttavia, ha a sua
disposizione altri quattro servitori ben più fedeli: Paura (di Dio), Dolore, Gioia,
Speranza. Per quanti volessero accedere rapidamente al testo completo, segnalo
che il manoscritto è consultabile online sul sito Gallica (il brano presentato risponde
all’incirca ai ff. 34a-44b).
Alla codicologia e alla miniatura sono dedicati i tre saggi successivi. Marc
Gil, in La théorie de l’atelier et de l’officine dans la miniature septentrionale (L. Delaissé):
modèles alternatifs à la lumière des sources et de la recherche actuelle (pp. 109-128),
presenta una lucida analisi dell’evoluzione degli studi sulla miniatura fiamminga.
Partendo dalla mostra Miniatures flamandes, tenutasi nel 2011-2012 a Bruxelles e
Parigi, riporta la nostra memoria all’esposizione del 1959 La miniature flamande.
Le mécénat de Philippe le Bon svoltasi a Bruxelles, Amsterdam e Parigi – che pos
siamo considerare come una sorta di spartiacque nel campo delle ricerche – e
sul catalogo redatto da Léon Delaissé. Lo studioso tracciava un nuovo quadro di
riferimento per i manoscritti miniati in epoca borgognona, basato in gran parte
sulla codicologia: analizzando un certo numero di opere, integrando dati materiali,
tipo di scrittura, natura dei testi, miniature e decorazione secondaria, Delaissé
giunse alla conclusione che nel Medioevo esistevano delle case editrici (nel
senso moderno del termine). In questo contesto sono stati attribuiti all’editore
sia l’organizzazione e la trascrizione del testo sia altri compiti quali ad esempio
decorazione e illustrazione; talvolta tuttavia il lavoro del miniaturista veniva
considerato completamente indipendente. Si faceva così strada una distinzione
tra officina dell’editore e atelier del miniatore, in cui i rapporti devono essere
analizzati di volta in volta, nonché una suddivisione cronologica in tre periodi
(pre-borgognone, borgognone e post-borgognone). Gil si concentra dunque sulle
reazioni degli studiosi alle ipotesi formulate da Delaissé prestando attenzione
alla fortuna critica e alle obiezioni avanzate, con particolare riferimento a Antoine
De Schryver e Anne van Buren, giungendo fino a ricerche recenti che – attraverso
il vaglio delle fonti – hanno messo concretamente alla prova le ipotesi
di Delassé. Particolarmente significativi si rivelano gli studi sulla contabilità, in
grado di dare il giusto rilievo ai complessi rapporti tra le diverse figure coinvolte
nella realizzazione del manoscritto miniato. Gil riesce a ricostruire criticamente,
in poche pagine, quasi sessant’anni di studi suggerendo altresì nuovi spunti di riflessione.
Le conclusioni soddisfano pienamente: Delaissé ha tentato un’ipotesi
audace, basata sull’archeologia del manoscritto, che ha avuto senza dubbio il
merito di favorire il moltiplicare degli studi aprendo altresì la strada alla ricerca a
tutto tondo del manoscritto; « archives, codicologie, iconographie et style, mais
aussi histoire du milieu urbain, des collections et du marché de l’art participent
désormais pleinement du champ d’étude du manuscrit médieval ».
Lucien Reynhout, Calliope exarans: à propos de quelques colophons poétiques
dans les manuscrits de la Bibliothèque royale de Belgique (pp. 129-150) porta la nostra
attenzione su tre colophon estratti da manoscritti conservati nella Biblioteca reale,
BRUXELLES: ms. II 977, f. 1rb; ms. II 979, f. 129r; ms. II 1072, f. 1v. Si tratta rispettivamente
del colophon del copista Lambertus, del colophon riferibile al perduto
manoscritto copiato da Lambert d’Hautmont, e di un “colophon editoriale”
di una raccolta agostiniana. Ogni opera è descritta accuratamente nella sua
struttura materiale, ne vengono date indicazioni sui contenuti e (per quanto
possibile) un inquadramento entro il suo originario contesto di riferimento. Seguono
l’analisi codicologica e paleografica, la disamina sulla contemporaneità o
meno di manoscritto e colophon, annotazioni sul copista. Reynhout non intende
solo fornire una meticolosa analisi dei colophon ma anche portare all’attenzione
della critica la quantità di informazioni che sono in grado di fornirci. Essi
si rivelano infatti strumenti utili sia all’identificazione del copista sia all’inquadramento
delle sue abilità, che consentono di farne una figura pienamente partecipe
al processo creativo.
Un altro tipo di testimonianza è al centro del lavoro di Christiane Van den
Bergen-Pantens, Héraldique et codicologie: le cas du Bruxellensis IV 1249 (pp. 151-
160) che porta alla nostra attenzione un armoriale tascabile di XIV secolo; recente
acquisizione della Biblioteca reale del Belgio. L’autore insiste in primo
luogo giustamente sull’importanza di queste opere, recentemente rivalutate dalla
critica ma ancora lasciate troppo in margine agli studi. Dopo averne delineato le
varie tipologie, mette in rilievo le abilità degli esecutori materiali dell’opera,
l’importanza del contesto storico di produzione, il variare della loro funzione
nel corso del tempo. Van den Bergen-Pantens ci fornisce una dettagliata descrizione
e un primo inquadramento dell’opera sopra citata, verosimilmente da collocare
tra il 1384 e il 1404, anticipazione di un’edizione completa dell’armoriale;
a quest’occasione è rimandata l’identificazione degli scudi nel loro complesso.
Chiude la miscellanea il saggio di Alain Goldschläger, De l’utilité du Juif au Moyen
Âge (pp. 161-174). Dopo un’introduzione nella quale lo studioso accenna alle
difficoltà con le quali l’Ebreo doveva misurarsi nel Medioevo, pone l’accento sulla
complessità e varietà delle interazioni sociali tra ebrei e cristiani. Del loro errare senza
riposo, visto all’epoca come una necessaria punizione nei confronti di coloro che
non avevano saputo accogliere il messaggio di Cristo, Goldschläger mette in luce
molteplici risvolti. Il costante peregrinare, accanto agli aspetti indubbiamente negativi,
dava anche loro occasione di intessere relazioni con persone di altri paesi portandoli
ad essere una sorta di trait d’union nell’ambito dei commerci. Necessariamente
poliglotti e dunque traduttori privilegiati, entravano rapidamente in contatto con
nuovi saperi e – di conseguenza – non di rado avevano a che fare con la loro divulgazione.
Anche in questo caso, la capacità di essere per certi aspetti all’avanguardia,
si rivela tuttavia una « position ambivalente car elle attire les foudres des forces réactionnaires
mais séduit les esprits curieux ou progressistes ». L’indagine sui rapporti
economici tra ebrei e cristiani si mostra altrettanto complessa. Come banchieri erano
necessari al traffico di denaro, la loro presenza assicurava inoltre fondi che potevano
essere presi in prestito (il loro successivo esilio consentiva eventualmente di
cancellare i debiti accumulati), ma in ogni caso guardati con sospetto e accusati di
usura (da intendersi come un prestito con interesse superiore al 2%). Una popolazione
da tassare, talvolta utilizzata come merce di scambio, dalla metà del secolo XII
accusata anche di omicidio rituale di bambini e per questo – se le circostanze lo richiedevano
– utilizzata come capro espiatorio. L’iconografia ha in diverse occasioni
supportato tali accuse partecipando al processo di creazione dell’Altro, talora con licenza
di fantasiosi e/o macabri dettagli. Goldschläger ci offre in questo saggio alcuni
interessanti esempi dei fattori che hanno contribuito a creare idee pregiudizievoli
nei confronti degli Ebrei, sviscerandone tuttavia soprattutto la complessa articolazione
delle interazioni sociali e intellettuali in rapporto al contesto.
In chiusura mi sia concesso sottolineare che, nel presentare un volume tanto
denso di spunti significativi, ho dovuto necessariamente optare per una selezione
dei contenuti tentando di modulare le scelte nel rispetto della varietà e complessità
degli argomenti trattati; quanti vorranno leggere il libro si renderanno
tuttavia conto che ogni singolo contributo va ben oltre quello che è stato qui
possibile evidenziare. Ogni intervento si distingue per la ricerca di un taglio trasversale
e per una grande attenzione all’interdisciplinarietà, caratteristiche alle
quali difficilmente si può dare il giusto rilievo in poche righe.
ELISA DI NATALE


Image et Images du Moyen Âge - Alain GOLDSCHLÄCHER Image et Images du Moyen Âge - Alain GOLDSCHLÄCHER
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Courrier de la Guilde des Terroirs : Karin Becker dépeint excellemment le « siècle bourgeois », qui a inventé un culte de la bonne chère.

« Karin BECKER remet, pour le XIXe, en pleine lumière quelques-uns des textes dans lesquels la littérature confirme que le repas est cet espace-temps capital où se nouent les intrigues essentielles de la vie en société » (Pascal Ory, Préface). Tout est dit , ou presque...
Ce livre est en partie (en partie seulement) le fruit d’une thèse d'habilitation allemande Der Gourmand, der Bourgeois und der Romancier (Francfort-sur-le-Main, 2000). On pouvait craindre le pire, car trop souvent ce genre d’exercice universitaire est, peu ou prou, ennuyeux et s’apparente à du « copier-coller » des oeuvres de nos grands écrivains, tels que Balzac, Baudelaire, Flaubert, Hugo, Zola, Maupassant… Or, il n’en est rien. Karin Becker dépeint excellemment le « siècle bourgeois », qui a inventé un culte de la bonne chère, sans abuser des extraits, tout particulièrement, des oeuvres de fiction, des romans et nouvelles de l’époque qui en constituent un reflet significatif.
On savoure la lecture du premier Chapitre sur l’Art culinaire ? Les romanciers encensent la table de « la Grande cuisine » (celle de Paris, des boulevards…), font la moue à la « table bourgeoise » (celle des ménages et donc des femmes), mais ils ne rechignent pas devant « les cuisines régionales » plus naturelles. Citant Balzac, dans La Rabouilleuse : « On ne dîne pas aussi luxueusement en province qu'à Paris ; mais on y dîne mieux ; les plats y sont médités, étudiés ».
Le Chapitre II sur les Aspects sociaux et moraux de l’alimentation s’ouvre par une étude renouvelée du discours alimentaire dans Les Misérables de Victor Hugo. Suit un exposé de la description, par les grands auteurs du XIXe, des lieux où l’on mange, soit la salle à manger des ménages riches ou pauvres et, d’autre part, les restaurants en tout genre (auberges, pensions de familles, cafés, établissements pouilleux ou, au contraire, sélects comme ceux du boulevard… des Italiens). Un passage instructif est consacré au temps où l’on mange. Suite logique,le Chapitre III s’intéresse Aux manières de table et partant à « l’homme sous contrainte ». Complète description des codes à respecter lors des « dîners priés » de la société huppée, avec bonnes et mauvaises manières de table, y compris les conversations à respecter ou, au contraire, les sujets qui fâchent, donc à éviter. Contraste saisissant : « le demi-monde » et le « monde ouvrier » de l’époque ne connaissent rien, ou si peu, aux bonnes manières.
Le Chapitre IV éclaire le mangeur du XIXe siècle et son corps, qu’il s’agisse du (gros) bourgeois gourmand ou de celui qui se met à suivre (déjà) un régime pour maigrir. Quant aux femmes : « mangent-elles ? ». « C’est un mystère », dit Balzac. De là à penser qu’elles ne savent pas manger ! De là, par contraste, la gourmandise féminine débridée renvoie à « un comportement monstrueux ».
Le Chapitre V ferme ce bon livre de Karin BECKER par le regard croisé de la gourmandise et l’érotisme, sujet omnipr ésent dans les romans réalistes et naturalistes du XIXe. Où l’on retrouve l’application de la théorie du sucré à la sexualité féminine et l’équation art culinaire et l’art amoureux. Ce chapitre jette également un oeil voyeuriste sur le tête-à-tête intime dans les cabinets particuliers (fermés) des grands restaurants des boulevards parisiens. L’ouvrage dépeint finalement, et admirablement, différents aspects du rapport complexe que les romanciers du XIXe siècle ont entretenu avec les discours des gastronomes de leur époque.


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maricourt-nordique.com : NUMMI L, Elämän puutarha/Le jardin de la vie

Il y a de très beaux textes dans ce recueil du poète Lassi Nummi (1928-2012), Le Jardin de la vie, publié en version bilingue. D’autres, qui nous touchent peut-être moins – en cause, les sujets abordés. Mais d’une écriture toujours très riche et empreinte d’une grande sensibilité. La nature est là, célébrée, la nature finlandaise, majestueuse. Lassi Nummi, « hédoniste modéré » comme il se décrivait lui-même selon Osmo Pekonen dans sa présentation de l’ouvrage, livre une poésie moderne, ouverte sur la vie quotidienne.

« Les grues d’un bord à l’autre du ciel

en un seul cri : en route, en route, point de havre,

en route pour un foyer qui n’existe pas, pour nulle part, en route,

de demeure, point, mais le vent des amours qui emporte, qui fend

l’aile frôlant l’aile, sur les vagues de l’air qui bercent

au même rythme, dans les flammes de l’air… »

 

* Lassi Nummi, Le Jardin de la vie (Elämän puutarha), trad. Yves Avril ; éd. bilingue présentée par Osmo Pekonen et Yves Avril, Paradigme, 2015

 


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Gastronomie et littérature au XIXème siècle de Karine Becker sur http://positiveeatingpositiveliving.blogspot.com/

Gastronomie et littérature au XIXème siècle est écrit par Karin Becker, enseignante de la littérature française à Münster en Allemagne. Ce livre est issu de la thèse d’habilitation consacrée à la gastronomie chez les romanciers français du XIXème siècle. Il édité aux éditions Paradigme.
« Gastronomie et littérature sont intimement liées dans la société gourmande du XIXe siècle. Balzac, Baudelaire, Flaubert, Hugo, Maupassant et Zola entretiennent ainsi un dialogue fructueux avec les gastronomes de l’époque, imitant de très près leur discours si caractéristique. Romans et nouvelles évoquent – dans une intention soit affirmative, soit sceptique – l’art culinaire du temps, les aspects sociaux et moraux de l’alimentation, les contraintes de l’étiquette, la question du corps du mangeur et la relation entre gourmandise et érotisme. Relues dans cette optique, les oeuvres littéraires s’avèrent une contribution originale à la discussion sur l’art de la bonne chère. Car ces écrivains ont beau participer au culte de la gourmandise célébré par leur siècle, ils n’en dénoncent pas moins, grâce à une écriture largement ironique, nombre d’ambivalences.


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karin BECKER invitée de l'émission « Les Nuits de France Culture », spéciale Balzac Présentée par Philippe Garbit

Karin BECKER, auteur de Gastronomie et littérature en France au XIXe siècle, Celle-ci sera diffusée début mai 2017.

 

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Gastronomie et littérature en France au XIXe siècle
De renommée internationale, les Éditions Paradigme réunissent des spécialistes de haut niveau dans tous les champs de l’histoire érudite des écritures, des livres, des bibliothèques et des textes.

Enseignante en littérature française à l’université de Münster (en Allemagne) et spécialiste du XIXe siècle, Karin Becker décrypte le dialogue soutenu qu’ont entretenu Balzac, Baudelaire, Hugo ou encore Zola avec les gastronomes de leur époque, en cherchant à imiter leur discours si caractéristique.Du culte de la bonne chère et de son rapport à l’érotisme jusqu’aux descriptions en trompe-l’oeil de la culture gastronomique, les romanciers usent de leur art de la plume pour ironiser et égratigner en toute subtilité les travers et les dérives d’une société bourgeoise fascinée par le mythe de la gourmandise…On ne compte plus les grands romans du XIXe qui contiennent une scène de repas développée à souhait. A l’appui de descriptions à rallonge, de Balzac à Zola en passant par Flaubert et Maupassant, les écrivains réalistes et naturalistes ont pris plaisir à plonger dans l’art de la gastronomie. C’est à découvrir cette aventure romanesque que nous invite Karin Becker dans son dernier essai flamboyant.Thierry Bourgeon/février 2017/laradiodugout.fr


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La rédaction de Famille Chrétienne vous conseille

Une édition bilingue offre vingt-six poèmes de cet Anglais, converti, qui mourut en 1979 en soignant les lépreux. Il laisse une œuvre immense.
Rimbaud était l’homme aux « semelles de vent ». Son frère en poésie, John Bradburne (1921-1979), marchait pieds nus. Pour ce vagabond mystique que l’Église béatifiera sans doute un jour, les seuls pieds qui comptaient étaient ceux de ses rimes. Elles chantaient Dieu et la beauté de sa Création – dont la reine était, selon lui, l’abeille.

Bradburne est l’auteur d’une œuvre colossale : environ six mille poèmes, près de deux cent mille vers. Battu, notre Victor Hugo national, et même Shakespeare. Certes, les pieds de John ne sont pas tous de la même pointure. Certains vers sont de qualité moyenne (manquant de papier, il remplissait de rimes le moindre espace vierge de son cahier). « Mais, lyriques ou cocasses, inspirés ou plus terre à terre, savants ou naïfs, ces vers témoignent d’abord d’une immense tendresse pour la beauté de la vie », souligne Yves Avril, préfacier et éditeur de Étrange vagabond qui ne sait quoi chercher, ouvrage bilingue qui présente vingt-six poèmes. L’Anglais joue et jongle avec les mots, use de calembours où l’on perdrait souvent son latin s’ils n’étaient en anglais. « Il se plaît parfois exagérément aux allitérations, reconnaît Yves Avril. Citons le fameux vers, bibliquement irréfutable mais véritable défi pour le traducteur : “First Eve fell fast for fallen fiend’s false fable” (amis lecteurs, à vous de traduire !). Bradburne fait irrésistiblement penser à Verlaine pour le meilleur… et pour le moins bon. »

Une naissance aux accents prophétiques, entre l’Éden et la Croix

Comme Rimbaud, Bradburne ne tient pas en place. Fils d’un pasteur anglican d’un village du Cumberland, « il est né le 14 juin 1921, entre l’Éden et la Croix, plus précisément à l’est de l’Éden et au pied de la Croix »,rappelle Didier Rance, auteur d’une biographie éminente sur ce «vagabond de Dieu». « L’Éden est le nom du petit fleuve côtier qui borde son village natal, Skirwith, et la Croix celui de la montagne Cross Fell, au pied de laquelle se trouve le village. » Du Paradis au Golgotha ?« La métaphore géographique semble annoncer un destin », répond Didier Rance.

John chercha longtemps sa voie. Il fut tour à tour soldat héroïque (en Malaisie, lors des combats menés par les Britanniques contre les Japonais), forestier, apiculteur, maçon, instituteur, soutier, jardinier… Reçu dans l’Église catholique en 1947, il frappa à la porte des Franciscains, des Chartreux, des Bénédictins. Sans trouver sandale à son pied.

Lui qui, enfant, préférait se cacher à la cime des arbres qu’aller à l’école « vouera toute sa vie une passion à la nature, la musique, la poésie, la liberté », dit Yves Avril. Cheveux longs et idées fortes, Bradburne, en mai 1968, soignait les lépreux en Afrique. Voilà qui fait davantage avancer le monde que les « manifs » de jeunes nantis qui s’ennuient.

En 1979, lors des combats qui précédèrent l’indépendance du Zimbabwe, Bradburne est pris en otage par des rebelles. Déclaré non coupable, il est libéré lorsqu’un guérillero lui lâche une rafale dans le dos. John s’écroule sur la piste rouge, qui boit son sang. Ce fils spirituel de François d’Assise avait prié Dieu de lui exaucer trois vœux : mourir martyr ; vivre avec les lépreux ; être enterré dans l’habit franciscain. Dieu le combla. Ce martyr fut enterré en bure dans la terre nue. Forcément pieds nus. 


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John Bradburne, Poète

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Aux cérémonies commémoratives à Villeroy, le 11 septembre 2016, L'Amitié Charles Péguy

  La Tapisserie de sainte Geneviève et de Jeanne d’Arc, et vers inédits, de Charles Péguy, Édition critique par Romain Vaissermann, éditions Paradigme, (448 pages, 35€, ISBN : 978-2-868-78143-7, disponible également en version numérique).


   Prière, poésie et passion, La Tapisserie de sainte Geneviève et de Jeanne d’Arc est tout cela à la fois. En cette fin de l’année 1912, aux grandes heures des répétitions litaniques qui consacrent en Charles Péguy un grand poète catholique et l’installent définitivement au panthéon littéraire français, l’œuvre que prépare le gérant des Cahiers de la quinzaine innove par un extraordinaire défi lancé à la littérature ambiante : sous la fougue de son inspiration, Péguy fait exploser le cadre étriqué du sonnet et tente d’épuiser le dictionnaire de rimes.


 Mais où mène cette soudaine faconde versifiée ? Et quelle en est la source ? Dans ce recueil publié en décembre 1912, et peut-être plus encore dans les centaines de vers inédits écartés de la publication et aujourd’hui exhumés pour la première fois, il n’est pas trop de sainte Geneviève et de Jeanne d’Arc, deux grandes figures de résistance à l’envahisseur, pour contenir l’aveu des affres de la passion qui tourmentait alors Péguy. Cette nouvelle édition est  la première édition critique complète de La Tapisserie de sainte Geneviève, actuellement disponible chez Gallimard à la « Bibliothèque de la Pléiade » et dans les collections « Blanche » et « Poésie », qui remontent aux années 1950-1960.  Ces deux dernières éditions ne sont pas, en effet, des éditions critiques. Quant à l’édition critique de La Tapisserie de sainte Geneviève établie dans le volume de la « Bibliothèque de la Pléiade » parue en 2014, elle est incomplète des inédits présentés dans cette nouvelle édition, richement annotés selon les canons universitaires et rendus accessibles au plus grand nombre parce que ces notes ont été voulues pédagogiques.


Édité sans souci de coller à l’actualité – l’année du centenaire de la mort de Charles Péguy (2014) étant passée – mais avec la volonté de livrer au public un texte valable encore dans cinquante ans, ce volume de vers est, pour une large part totalement inédit. Ces inédits ne sont pas des fonds de tiroirs insignifiants mais des vers bien complets et suivis dans des strophes elles-mêmes bien complètes et suivies. Parmi ces quatre-cent-soixante-quinze quatrains, seuls une dizaine de mots restent difficiles à lire sur le manuscrit, retrouvé à force de recherche…


Romain Vaissermann, né en 1974, ancien élève de l’ENS, (1996), agrégé de grammaire, (1998). Il a soutenu sa thèse sur La Digression dans l’œuvre en prose de Charles Péguy en 2005. Il a collaboré à l’édition des Œuvres poétiques et dramatiques de Charles Péguy (Gallimard, Bibliothèque de la Pléiade, 2014). Il est, depuis 2006, président de l’association des « Amis de Jeanne d’Arc et de Charles Péguy ».

 


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Les Hommes sans épaules 42 Cahiers Littéraires

Jaan KAPLINSKI : Difficile de devenir léger (Raske on kergeks saada), édition bilingue, traduction de l’estonien par Antoine Chalvin, Éditions Paradigme, 2016 — 96 pages, 9,80 €.

Ce livre de poèmes publié par les éditions Paradigme, est, après Le Désir de la poussière (Riveneuve, 2002), qui a reçu le Prix Max-Jacob étranger, le deuxième titre disponible en français de. Jaan Kaplinski, poète qui est, probablement actuellement, le plus important d’Estonie. Cet auteur n’est pas inconnu des USE, qui lui ont consacré leur rubrique « Une voix, une œuvre », au sein des USE n"36, en 2013. Rappelons que, né en 1941, Kaplinski a exercé de nombreux métiers avant de devenir député au Parlement d’Estonie (de 1992 à 1995). Jaan Kaplinski parle et écrit notre langue (grâce à sa philologue de mère) et a traduit en estonien de nombreux auteurs étrangers (parmi lesquels Alain-Fournier ou André Gide). Jaan Kaplinski a reçu le Prix européen de littérature 2016 pour « l'ensemble de son œuvre de poète, romancier, essayiste et dramaturge, en hommage a l’intégrité et l’universalité de sa médiation, portée par une écriture en perpétuel renouvellement. » Antoine Chalvin, véritable ambassadeur en France des lettres estoniennes est au cœur du projet (qui n’est pas anthologique, mais concerne la publication intégrale d’un recueil qui a paru initialement en Estonie en 1982). Difficile de devenir léger, nous dit-il : « marque une étape entre les expérimentations multiples des premiers recueils et la construction d’une voix poétique personnelle, stable et simple, en quelque sorte apaisée, qui place la recherche formelle au second plan pour se concentrer sur le contenu… Le minimalisme poétique, par la volonté de raréfaction des mots dont il procède, tend naturellement au silence. » Sur le plan de la thématique, la nature, éternel objet de surprises et d’émerveillements (« Qui cherche la fraîcheur dans ce brasier te trouvera ») est omniprésente, avec l’amour, qui occupe le cœur tour à tour serein et tourmenté du livre, car si Tout peut disparaître… Certainement pas : ce désir — de parvenir en foi — à travers ton corps fragile à travers toi à travers moi avec toi — mon amour. La mystique bouddhiste chère a l'auleur, sans elie trop prégnante innerve aussi nombre de vers et/ou de poèmes : le Bouddha dort au bord de la rivière au même endroit que pendant mon enfance. La nature estonienne ? Il faudrait peut-être parler davantage de nature kaplinskienne ; car, comme l’écrit Marika Pôldma : « Les Estoniens ne sont plus le peuple de la forêt avec ses chamans et ses bardes populaires, aujourd’hui prédomine une poésie de la ville qui, par manque de racines, reste en surface sans être capable de pénétrer plus avant dans une eau et une terre plus riche et plus forte, dans les mouvements plus profonds de l'âme humaine » ; et c’est peut-être ce contraste, cette différence marquante entre Kaplinski et les autres poètes estoniens qui explique la portée, l’originalité et la force de son œuvre a part, au sein de laquelle s’opère une fusion, une osmose entre les règnes humains, végétaux et minéraux (« Tout n’est que terre eau air et feu se changeant les uns en les autres perdurant »), dans une économie de" moyens, de mots, qui interdisent le verbiage, le verbalisme et la platitude : les pierres poussent en moi — invisiblement — incroyablement — entre un matin gris — et la nuit sans étoiles. Ce recueil, Difficile de devenir léger, donne à lire, a découvrir, un grand poète européen, qui est en même temps à lui tout seul, une porte ouverte sur le monde estonien. Notes de Christophe Dauphin.


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Nuit de la littérature européenne

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Image et Images du Moyen Âge - Alain GOLDSCHLÄGER. Compte-rendu du Bulletin codicologique – Scriptorium - Bibliothèque Royale de Belgique – Cabinet des Manuscrits

Cet ouvrage en l’honneur de Jacques Charles Lemaire rassemble des contributions qui s’inscrivent dans différents champs d’études qu’a explorées avec passion et maestria M. Lemaire : littérature médiévale, interprétation philologique de textes, études codicologiques.

Les études sur la littérature médiévale se consacrent à des évolutions de personnages, de motifs ou de thématiques importants du Moyen Âge littéraire français. François Suard explore ainsi « Quelques variations médiévales sur le personnage de Roland » (p. 45-57), lequel, malgré quelques traits négatifs acquis au long des chansons de geste, reste toujours la référence héroïque par excellence. Philippe Logié conjugue l’étude linguistique à la recherche du sens pour analyser les verbes qui expriment « Souvenir et aventure dans l’Enéas et chez Chrétien de Troyes » (p. 59-66), et qui traduisent le caractère involontaire des souvenirs dans la matière analysée, reliés ainsi aux hasards des aventures. Dans « Les réactions à la naissance de la culture hétérosexuelle dans les romans d’aventure des XIIe et XIIIe siècles », Yves Ferroul (p. 67-78) témoigne des difficultés qu’a cette culture à s’y imposer à l’époque visée. Denis Hüe explore la personnalité littéraire d’un poète rhétoriqueur dans « Meschinot, un témoignage édité » (p. 79-89) en se basant sur le texte du ms. Tours, BM, 95, fol. 67.

Le deuxième et le troisième volet des contributions seront particulièrement intéressants pour le codicologue. Le deuxième est consacré à l’interprétation philologique de textes inédits. Bruno Roy y présente (p. 91-97) un texte tiré de « L’Estoire del Saint Graal : un nouveau fragment dit fragment de Gand », découvert dans le ms. Gent, HS 2749 sous un faux titre. « L’image des cinq sens dans le Miserere du Renclus de Moiliens, édition partielle avec sa mise en français moderne » (p. 99-108) d’Annette Brasseur est basée sur le texte du ms. A, Paris, BNF, fr. 1763.

Le troisième volet présente des recherches codicologiques. Marc Gil explore « La théorie de l’atelier et de l’officine dans la miniature septentrionale (L. Delaissé) : modèles alternatifs à la lumière des sources et de la recherche actuelle » (p. 109-127). La contribution « Calliope exarans : à propos de quelques colophons poétiques dans les manuscrits de la Bibliothèque Royale de Belgique » de Lucien Reynhout (p. 129-149) étudie trois colophons poétiques jamais édités complètement, des mss Bruxelles, KBR, II 977, fol. 1rb, II 979, fol. 129ro et II 1072, fol. 1 vo. Christiane Van den Bergen-Pantens propose l’examen codicologique d’un armorial de poche inédit, le ms. Bruxelles, KBR, IV 1249, dans « Héraldique et codicologie : le cas du Bruxellensis IV 1249 » (p. 151-160).

Le volume s’achève par la contribution d’Alain Goldschläger, De l’utilité du Juif au Moyen Age (p. 161-174), qui explore les relations et les échanges entre la communauté chrétienne et la communauté juive malgré les persécutions et l’isolement auxquels cette dernière était vouée au Moyen Âge. Il illustre ses propos de très belles miniatures tirées des mss Freiburg-im-Breisgau, Universitätsarchive der Albert-Ludwigs-Universität Freiburg, ms. A0105/8141, fol. 39, ca. 1500; Paris, BNF, ms. lat. 11560, fol. 6, ca. 1500 et Paris, BNF, Est, réserve EA-017-FOL (1).

L’ouvrage, soigneusement conçu, rassemble des contributions de valeur certaine pour la codicologie, et qui reflètent bien l’heureuse multidisciplinarité des intérêts de recherche de M. Jacques Charles Lemaire.

V. Guenova

Image et Images du Moyen Âge. Mélanges en l’honneur de Jacques Charles Lemaire, textes réunis par Alain Goldschläger. Orléans 2014, Éditions Paradigme, (Medievalia, 84). 21 cm, 186 p., ill., € 30,00. Isbn 978-2-86878-301-1.


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JAAN KAPLINSKI, European Prize for Literature 2016

THE EUROPEAN PRIZE FOR LITERATURE 2016 is awarded to JAAN KAPLINSKI (ESTONIA), born in 1941 in Tartu, for the totality of his work as a poet, a novelist, a dramatist, a novelist and a writer of essays.

Jaan Kaplinski is the 11th Laureate since the creation of the European Prize for Literature in 2005. Previous recipients of the Prize are : 2005, ANTONIO GAMONEDA (Spain) • 2006, BO CARPELAN (Finland) • 2007, TADEUSZ RÓŻEWICZ (Poland) • 2008, TANKRED DORST (Germany) • 2009, KIKI DIMOULA (Greece) • 2010, TONY HARRISON (Great Britain) • 2011, DRAGO JANČAR (Slovenia) • 2012, VLADIMIR MAKANINE (Russia) • 2013, ERRI DE LUCA (Italy) • 2014, JON FOSSE (Norway) • 2016, JAAN KAPLINSKI (Estonia)

The idea of a European Prize for Literature is both simple and bold : to contribute to a better mutual understanding of the peoples of Europe through the iconic personalities of their contemporary culture, those who today like Victor Hugo in his time are a living symbol thereof. It is by putting a face on each European country, that of its most famous contemporary writer, that our countries will best be able to respect, and to understand each other.

Every year the European Prize for literature honours for the entire body of his, or her work a European writer of international stature, with the view to highlight in a highly symbolic venue the cultural importance of Europe. The award is based on criteria of quality and of exemplarity, which are as demanding as those for the Nobel Prize for Literature.

Jaan Kaplinki studied linguistics in Tartu University. He has worked as researcher in linguistics, sociologist, ecologist and translator from several languages into Estonian. Interested in Celtic mythology and languages, American Indians and classical Chinese philosophy and poetry.

During the perestroika and Estonian national revival he was active as journalist both at home and abroad. 1992 - 1995 deputy of the Estonian Parliament (Riigikogu). He has lectured on history of Western civilization in Tartu University. Published several books of poetry and essays in Estonian, Finnish and English. Has been translated also into Norwegian, Swedish, Latvian, Russian and Czech.

Influenced by Western modernism (Rimbaud, Eliot, Pound) and classical Chinese poetry he has also translated, mainly poetry from French, English, Spanish, Chinese and Swedish (a volume of poems by Tomas Tranströmer). Travelled in many countries, including China, Turkey and parts of Russia. Member of several learned societies and the Universal Academy of Cultures headed by Elie Wiesel.


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Jaan Kaplinski, lauréat du Prix européen de littérature 2016

Jaan KaplinskiL'auteur estonien a été consacré pour l'ensemble de son œuvre.  Jaan Kaplinski. - AVE MARIA MÕISTLIK

Le Prix européen de littérature 2016 a été décerné, lundi 1er février, à Jaan Kaplinski, annonce dans un communiqué le jury Eurobabel. L'auteur estonien est récompensé pour "l'ensemble de son œuvre de poète, romancier, essayiste et dramaturge, en hommage à l'intégrité et l'universalité de sa médiation, portée par une écriture en perpétuel renouvellement", précise le texte.

Né en 1941 en Estonie, Jaan Kaplinski a publié dès les années 1960 des recueils de poèmes, avant de se tourner vers des essais philosophiques et, assez tardivement, vers la prose. Il a également traduit en estonien Alain-Fournier et André Gide. Un seul de ses titres a été traduit en français, par Antoine Chalvin. Le désir de la poussière est paru en édition bilingue en 2003 chez Riveneuve, tandis que Raske on kergeks saada (Difficile de devenir léger) paraît en édition bilingue le 1er mars chez Paradigme.

Le jury a également souhaité mettre à l'honneur par ce prix le travail de traduction d'Antoine Chalvin, salué pour avoir "donné une voix française à l'œuvre de Jaan Kaplinski et pour son inlassable travail au service de la littérature estonienne".

Créé en 2005, le Prix européen de littérature "distingue chaque année un écrivain européen pour l'ensemble d'une œuvre représentative de la dimension culturelle de l'Europe". En 2014, c'est l'écrivain norvégien Jon Fosse qui l'avait emporté. Il n'y a pas eu de lauréat en 2015.

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Ambassade de France en Estonie / Prantsuse Suursaatkond Eestis

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L'ouvrage de Jaan Kaplinski sur le site de l'ambassade de France en estonie

écran Ambassade de France Estonie


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